L’interessante intervista del dirigente bianconero Silvio Vigato a Tuttosport che spiega l’operazione di rebranding Juventus in tutte le sue sfaccettature

Il cambio di logo della Juventus nei mesi scorsi è stata una delle operazioni di rebranding più importante degli ultimi anni. Spersonalizzato, in un certo senso, il legame con la città di Torino, la nuova scelta stilistica dei dirigenti bianconeri ha raccolto l’ammirazione e l’entusiasmo degli addetti ai lavori. Di questo e molto altro ha parlato Silvio Vigato, Co-Chief Revenue Officer, Head of Brand, Licensing And Retail della Juventus ai microfoni di Tuttosport: «Il nuovo brand è il simbolo grafico del nostro modo di interloquire. Vi faccio un esempio: abbiamo organizzato un evento a Brooklyn con “Boiler Room”, una sorta di Mtv di musica underground, con 5 dj che avevano la maglietta con il nuovo logo. Ci dicevano che eravamo cool, che eravamo “fighi”, e abbiamo capito che li avevamo “agganciati”. Nonostante loro non conoscessero la Juventus e non ne fossero tifosi. In questo senso stiamo facendo qualcosa di diverso rispetto a United, Barcellona o Real: stesso obiettivo di espandersi, altre modalità. Con le dovute cautele, ma sì: il paragone con la NBA ci sta».

Prosegue il dottor Vigato: «E’ un percorso che necessita di diversi anni, ma l’obiettivo è quello di raggiungere un vasto pubblico non necessariamente interessato al calcio. Juventus è leader sul mercato domestico, per fatturato e non solo, dunque un ulteriore step possiamo farlo solo valicando i confini. Per riuscirci, dobbiamo conquistare nuovi target, dobbiamo presentarci in maniera più trasversale per entrare distillando i nostri valori con un linguaggio diverso. Gli investimenti sui nuovi store? Nuovo concept, con prodotti che prima non c’erano: per accontentare il tifoso che vuole la maglia bianconera, ma anche per la persona che vuole un capo d’abbigliamento del pomeriggio senza “gridare”. Altro esempio: la nostra maglia da gara all’estero può essere comprata senza scudetto e coccarda tricolore. Questa seconda opzione copre il 20 per cento delle vendite totali. Proprio perché per noi quei simboli sono motivo d’orgoglio ma in altre realtà non interessano». Infine, conclude: «J-Hotel o J-Lounge bar? Sono riflessioni che stiamo facendo ma ovviamente prima di aprire negozi o strutture a Shanghai, Tokio o Los Angeles occorre suscitare il giusto interesse. In questo senso possono avere una importanza nodale anche le Academy, utili ad inserirsi nella comunità locale».